Di Enri Gliozheni
Risulta molto interessante una recente pubblicazione su JAMA (JAMA Cardiol Published online February 13, 2019) che marca
l’importanza dell’aderenza alla terapia con statine.
Nelle linee guida del 2013 l’American College of Cardiology (ACC) e l’American Heart Association (AHA) raccomandavano l’impiego di statine per la maggior parte dei pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica. Le sopracitate linee guida recentemente aggiornate (2018) raccomandano analogamente le statine come trattamento cardine per i pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica e sottolineano l’importanza del controllo dell’aderenza nel follow-up di routine.
Tuttavia nella vita reale molti pazienti ad alto rischio non mantengono l’impiego di statine oltre l’iniziale evento. In realtà, i registri contemporanei rivelano un sostanziale sottoutilizzo e sottodosaggio di statine, anche dopo una sindrome coronarica acuta.
Questo studio ha analizzato 487812 adulti tra i 18 e gli 85 anni con malattia cardiovascolare aterosclerotica documentata e con prescrizioni di terapia con statine sia al basale che durante il follow-up.
L’aderenza al farmaco è stata misurata dal rapporto di possesso del farmaco (MPR) calcolato dividendo il numero di giorni di statina ambulatoriale fornita durante un anno per il numero di giorni che il paziente non era ospedalizzato. L’aderenza è stata classificata con valori del MPR inferiori al 50%, dal 50% al 69%, dal 70% all’89% e > al 90%. L’aderenza più bassa si è riscontrata nel sesso femminile, nella razza / etnia non bianca e nei gruppi di età più giovane e più anziana. È noto il sottoimpiego delle statine nel sesso femminile; si ipotizza che le donne possano avere più effetti avversi dalle statine, come mialgie, o che percepiscano un livello più
basso di rischio rispetto agli uomini; non ci sono informazioni sulla bassa aderenza nelle altre minoranze.
C’era una correlazione inversa tra i livelli di aderenza delle statine e la mortalità; rispetto a studi precedenti questa ricerca conferma tale tendenza non solo nel breve ma anche nel medio periodo. Tale mortalità risulta ulteriormente aumentata in caso di bassa aderenza alle statine più potenti.
Nell’anno successivo alla data di arruolamento, la cardiopatia ischemica o i ricoveri per ictus erano più frequenti in coloro che erano meno aderenti alle statine.
L’associazione tra bassa aderenza e alta mortalità risulta più forte negli uomini rispetto alle donne.
Quando venivano inclusi anche quelli che non stavano assumendo statine durante il follow-up, questo gruppo aveva il massimo rischio di mortalità rispetto al gruppo di maggior aderenza.
I pazienti più aderenti avevano valori di LDL-C più bassi (77,2 mg / dL per MPR≥90% rispetto a 92,1 mg / dL per MPR <50%).

In conclusione questo studio conferma una correlazione inversa e graduale tra mortalità per tutte le cause e l’aderenza a lungo
termine alla terapia con statine in un campione di pazienti affetti da malattie cardiovascolari. Questi risultati suggeriscono che
esistono importanti margini di miglioramento nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari attraverso l’ottimizzazione
della adesione alla terapia con statine.